Il branco, quando i cani tornano ad essere selvatici
Quando parliamo di cani selvatici, dobbiamo fare una distinzione importante, tra randagi e cani inselvatichiti.
I primi infatti, sono cani che vivono in libertà, non sono controllati da un padrone e spesso si aggregano in piccoli branchi, ma fondamentalmente mantengono un certo rapporto di dipendenza dall’uomo, perché si tratta di animali che sono stati abbandonati in un certo periodo della loro vita, ma hanno comunque avuto un rapporto con gli esseri umani.
I discendenti a partire dalla seconda/terza generazione dei cani randagi, vengono chiamati cani inselvatichiti.
Questi animali hanno perso quasi completamente il rapporto con l’uomo, e vivono in branchi più o meno modesti. Non temono l’uomo e si possono considerare alla stregua degli altri predatori selvatici, e in quanto tali, sono potenzialmente più pericolosi per l’uomo.
Le caratteristiche che rendono i cani inselvatichiti particolarmente temibili è il fatto che ormai da generazioni, pur partendo da progenitori domestici, questi animali subiscono la pressione selettiva naturale, ergo: sopravvivono solo i più forti.
La selezione naturale quindi, fa sì che le caratteristiche peculiari del cane domestico vadano scemando, favorendo invece le attitudini dell’animale predatore selvaggio, quindi la forza e la ferocia.
Ecco perché quando ci imbattiamo nei branchi di cani inselvatichiti abbiamo l’impressione di trovarci più di fronte a un branco di lupi e non di cani randagi.
Gli esemplari piccoli ed esili sono praticamente assenti, mentre prosperano animali di grassa taglia, massicci, agili, con muscolatura possente e dentatura notevole.
Tutte queste caratteristiche, favorite dalla selezione naturale fanno dei cani inselvatichiti un vero e proprio problema per l’essere umano.
Considerato la quasi totale assenza nel territorio italiano, di predatori che possano tenere testa a questi cani, è giocoforza che stiano raggiungendo le vette della catena alimentare.
I cani inselvatichiti stanno quindi, col tempo, colmando quel vuoto ecologico che tempo addietro era occupato dai lupi, oggi ridotti purtroppo a un esiguo numero di esemplari selvatici.
Il territorio che un tempo era dei lupi, oggi è dei cani inselvatichiti, e spesso questo territorio è condiviso con gli esseri umani che subiscono l’effetto di questo nuovo predatore.
Sono sempre più frequenti i casi di uomini attaccati da cani inselvatichiti, e ancora più frequenti sono le perdite che gli allevatori subiscono da questi ultimi.
Spesso gli attuali attacchi al bestiame sono erroneamente attribuiti ai lupi, ma in realtà la maggior parte di queste uccisioni è frutto dei cani inselvatichiti, che sono molto più comuni dei lupi.
Come risolvere allora il problema dei cani inselvatichiti? Ovviamente la faccenda deve essere affrontata a monte; fino a quando ci sarà il problema del deliberato abbandono dei cani, esisterà per conseguenza diretta il problema dei cani inselvatichiti.
Ogni anno un numero impressionante di cani viene abbandonato nel nostro paese, e un buon numero di questi, cioè gli esemplari che riescono a sopravvivere, esclusi quei pochi che possono essere ospitati nei canili, inevitabilmente si riproducono, dando vita alle future generazioni di cani inselvatichiti.
Questa progenie è destinata a mischiarsi, rinsanguarsi, prosperando e aguzzando tutte le caratteristiche predatorie. E come abbiamo potuto considerare, vista l’assenza, o comunque l’esigua presenza di orsi o lupi nel territorio italiano, unici predatori capaci di contrastarli, è quasi inevitabile che questi cani prendano il sopravvento, con la concreta possibilità che col passare dei secoli accada quello che probabilmente è accaduto con i dingo in Australia e in vari paesi asiatici.
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