Dal lupo al cane, storia del migliore amico dell'uomo.
“ Il cane è il migliore amico dell’uomo”, quante volte abbiamo sentito questa frase? Ormai è diventata quasi un proverbio, e spesso è abusata al punto tale che se ne sottovaluta l’importanza.
Molti animali sono “amici” degli uomini, ma il “migliore amico” è solo il cane, e le ragioni di questo legame si perdono nei meandri della preistoria.
Quando parliamo di cane, dobbiamo soffermarci sul fatto che non stiamo parlando di un semplice animale domestico; infatti il cane è “l’animale domestico” per eccellenza, non solo perché si ritiene sia stato il primo addomesticato dall’uomo, ma anche perché si tratta dell’unico animale che pare abbia “scelto” di stabilire un rapporto con l’essere umano.
Anche altri animali come le capre, i maiali e i cavalli, hanno una storia lunghissima e sono stati accanto all’uomo nel corso della sua evoluzione, ma questi sono diventati domestici per imposizione dell’essere umano, che ha notato in loro alcune caratteristiche e potenzialità da sfruttare.
In pratica si tratta di prede, animali a cui il predatore uomo ha per lungo tempo dato la caccia, ma che ha anche osservato attentamente, scoprendone le innumerevoli potenzialità.
A un certo punto della storia l’uomo si è accorto che era più facile allevare i maiali, piuttosto che sprecarsi in faticose e rischiose battute di caccia, e ha capito che i veloci cavalli potevano essere ottimi mezzi di locomozione, quindi ha deciso di prelevare qualche cucciolo di questi animali iniziando ad allevarli.
Col cane le cose non sono andate così. Fondamentalmente il cane o meglio il lupo, non era una preda di particolare importanza per l’essere umano, anzi più che altro era un rivale, per il semplice motivo che entrambi condividevano molte delle potenziali prede.
Quindi riflettendoci, gli uomini preistorici non dovevano proprio vedere di buon occhio questi animali feroci, e pericolosi.
Da ciò possiamo comprendere che le premesse per questa grande amicizia non erano affatto delle migliori.
Allora come è avvenuto questo cambiamento? Perché questi due essere potenzialmente rivali nella catena alimentare hanno poi unito le loro strade indissolubilmente?
La risposta, o le risposte ovviamente non sono facili, e come sempre, quando si parla di preistoria, le nostre possono solo essere delle supposizioni, che la paleontologia cerca di confermare o smentire in base alle prove che gli scavi ci forniscono ogni anno.
Tutto può cambiare da un momento all’altro nello studio di fatti che sono avvenuti decine di migliaia di anni fa; basta un nuovo ritrovamento per stravolgere in un attimo tutto quello che credevamo di sapere da decine di anni.
Quello che è certo, è che il cane come oggi lo conosciamo è un diretto discendente del lupo grigio (Canis lupus), a confermare questo dato, oltre alle prove paleontologiche, ci sono anche le moderne ricerche genetiche.
Per questo il cane oggi, è considerato una sottospecie del lupo grigio, al quale è stato assegnato l’emblematico nome scientifico di Canis lupus familiaris.
Restano invece ancora nel campo delle supposizioni le origini del processo di domesticazione. L’ipotesi attualmente più accreditata è quella denominata “domesticamento naturale” del lupo, proposta dai coniugi Ray e Lorna Coppinger.
I due famosi biologi infatti, sostengono che l’addomesticamento del cane sia frutto di una selezione naturale, per cui soggetti meno abili alla caccia abbiano iniziato ad avvicinarsi agli uomini, nutrendosi dei loro scarti alimentari, e proprio durante questa prima forma di convivenza, i lupi iniziarono a fornire un “servizio” inaspettato ma molto utile agli umani: “facevano la guardia”.
Questa caratteristica di “fare la guardia” ante litteram, pare sia stata la scintilla che ha generato il legame uomo – lupo, e che sia alle origini della nascita del “cane” per come lo conosciamo oggi. Per capirne il motivo dobbiamo fare un passo indietro nella preistoria e immedesimarci nei nostri antenati.
Ora, immaginiamo gruppi di cacciatori preistorici, armati di armi rudimentali e sempre in pericolo di vita, perché costantemente esposti agli attacchi di potenti e temibili predatori come le tigri dai denti a sciabola, e proviamo a percepire la loro vulnerabilità soprattutto durante le ore notturne e nei momenti di riposo. Immaginiamo ora i branchi di lupi, sempre sulle tracce degli uomini, alla ricerca dei loro avanzi lasciati dopo i pasti.
Riflettendoci possiamo ben comprendere che dopo un po’ i lupi iniziarono ad essere come delle ombre per i cacciatori, seguendoli giorno e notte, ma sempre ad una certa distanza.
Quando i cacciatori avanzavano, i lupi li seguivano e quando si fermavano a dormire, anche i lupi si fermavano. In questo pellegrinaggio, quando capitava che un predatore si aggirasse nei paraggi, i lupi dotati di un olfatto potentissimo e di un udito altrettanto sviluppato, iniziavano a mettersi in agitazione ululando molto prima che il predatore fosse visibile agli esseri umani, dotati di sensi meno sviluppati.
L’uomo dovette accorgersi molto presto delle straordinarie capacità di quegli animali, che fino a poco tempo prima considerava alla stregua di tutte le altre bestie.
Il passo successivo fu quello di adottare qualche cucciolo di lupo, allevandolo all’interno degli insediamenti al fine di utilizzarli come spazzini e soprattutto come sentinelle.
Per la verità la teoria dei branchi che seguivano i cacciatori erranti fu ipotizzata dal premio Nobel Konrad Lorenz negli anni ’50, e descritta nel libro “E l’uomo incontrò il cane”.
Il grande etologo austriaco, intuì l’origine di questo legame, sostenendo però che i cani attuali discendessero non solo dal lupo grigio, ma anche dallo sciacallo dorato (C. aureus).
Nella teoria dei coniugi Coppinger invece, la addomesticazione sembra direttamente collegata alla creazione di insediamenti stabili da parte degli uomini, e chiaramente si parla di lupi e non di sciacalli.
L’altra differenza fondamentale tra le due teorie, consiste nel fatto che secondo i Coppinger, l’uomo ha iniziato la selezione canina partendo da un “proto-cane” già molto docile nei confronti dell’uomo, quindi già diversificato dal lupo per un processo di selezione naturale, dovuto alla nicchia ecologica creatasi in seguito alla nascita dei villaggi umani.
Fatto sta che in entrambi i casi, non si parla di una forzatura da parte dell’essere umano, non si vede l’uomo che prende “con la forza” un animale per allevarlo, ma si assiste comunque alla nascita di un rapporto di mutuo beneficio, che pare addirittura nascere in primo luogo dall’animale, indipendentemente dal fatto che l’interevento selettivo umano sia poi avvenuto partendo dal lupo vero e proprio, o da un cane ante litteram, frutto della selezione naturale.
Abbiamo precedentemente detto che l’etologo Konrad Lorenz, basandosi su studi comportamentali, nella sua teoria sull’origine del cane, aveva ipotizzato che tra i progenitori di questa specie ci fosse oltre al lupo anche lo sciacallo.
Le ragioni che portarono il padre della moderna etologia a sostenere questa tesi furono legate soprattutto alle osservazioni svolte sul comportamento, infatti è una caratteristica tipica dello sciacallo quella di avvicinarsi agli insediamenti umani per cibarsi degli scarti.
Questo fattore unito ad altri comportamenti che tendevano ad avvicinarsi più a quelli dello sciacallo e non del lupo, portò Lorenz a supporre che i cani avessero questa doppia discendenza e che le razze attuali si differenziassero in due gruppi: quelli con caratteristiche lupoidi e quelli con caratteristiche aureus (sciacallo).
Tuttavia all’epoca lo studio del DNA era appena agli albori e la possibilità di studiare le origini di una specie attraverso questo importantissimo fattore, erano ancora lontane.
Quindi fu solo nel 1997 che la questione sul progenitore dei moderi cani fu risolta, e a riuscire in questa impresa fu un gruppo di scienziati guidati da Robert Wayne presso l’Università della California (Los Angeles).
La ricerca fu svolta su campioni di DNA mitocondriale, raccolti da sangue, tessuti e peli di 140 cani di 67 diverse razze, 162 lupi provenienti da 27 diverse popolazioni dal Nord America, Asia e medio Oriente, 5 coyote, 2 sciacalli dorati, 2 sciacalli dalla gualdrappa e 8 sciacalli dell’Abissinia.
La scelta di soffermarsi sul DNA mitocondriale fu fatta perchè questo, a differenza di quello proveniente dei cromosomi, deriva solo dalla linea materna, rendendo più facile lo studio della discendenza, perché le mutazioni, che si manifestano durante il corso delle generazioni, non vengono rimescolate in nuove combinazioni dalla meiosi come avviene nei geni dei cromosomi, ma rimangono unite in una sequenza particolare.
Tutte le analisi portarono a un risultato univoco e inequivocabile: il progenitore dei cani era il lupo. Dagli esami dei campioni di DNA mitocondriale, emerse che lupi e coyote differivano per circa il 6%, mentre cani domestici e lupi differivano solo per l’1%, cosa che già faceva propendere al lupo l’attribuzione della paternità dei cani domestici.
Il gruppo di scienziati focalizzò quindi l’attenzione su una porzione specifica del DNA mitocondriale chiamata “regione di controllo”, che varia notevolmente fra le diverse specie di mammiferi, ne scaturì che i lupi avevano 27 diverse sequenze nella regione di controllo, che non corrispondevano esattamente a quelle dei cani domestici, ma erano molto simili, differendo al massimo per 12 loci* lungo la molecola di DNA e più frequentemente per un numero minore.
I coyote e gli sciacalli erano geneticamente molto diversi dai cani domestici rispetto ai lupi, infatti ciascuna sequenza di coyote o sciacallo differiva da ciascuna sequenza di cane domestico per almeno 20 loci*, spesso per un numero addirittura molto maggiore, e questa fu decisamente la prova del nove.
Gli studi effettuati da Wayne e dal suo gruppo, furono determinanti anche per stimare la “nascita” del cane domestico in senso temporale. Infatti le mutazioni genetiche non sono casuali e avvengono con un ritmo costante nel tempo, per questo è possibile stabilire, dal numero di mutazioni accumulate, l’intervallo di tempo che è intercorso dalla loro separazione di due linee, in questo caso quella del lupo e del cane domestico.
La più antica testimonianza fossile di cane domestico è datata in un tempo compreso tra 12.000 e i 14.000 anni, ma questo tempo non è sufficiente a giustificare la sostanziale differenza nel DNA mitocondriale del lupo e del cane.
Le differenze genetiche tra i due animali suggeriscono che le due specie si siano separate da almeno 135.000 anni, ma va considerato anche che i cani si riproducono con una frequenza maggiore rispetto al lupo e raggiungono prima la maturità sessuale, questi fattori ridurrebbero sostanzialmente la stima temporale sopra riportata.
Non è facile quindi dare una data precisa a questo importantissimo “incontro”, non c’è dubbio che i cani accompagnassero l’uomo già nel neolitico ( 10.000 - 9.000 a.C. ), e probabilmente ci è difficile estrarre tracce di cani più antichi, perché essendo allora ancora molto simili ai lupi, non hanno lasciato fossili facilmente distinguibili.
Forse i nostri progenitori incontrarono i loro migliori amici quando iniziarono a lasciare l’Africa, circa 50.000 anni fa, ovviamente questa considerazione fa scaturire un nuovo quesito: dove nacque questa amicizia? Anche in questo caso ci è venuta in contro la genetica, quando Leonard J. A. confrontò i resti di 37 cani rinvenuti in vari siti archeologici precolombiani di Messico, Perù e Bolivia; 11 campioni di DNA provenienti da resti rinvenuti in Alaska e risalenti ad un'epoca antecedente la prima esplorazione europea di Vitus Bering e Aleksey Chirikov del 1741; e il DNA di 140 cani e 259 lupi attuali.
I risultati indicarono che sia i cani antichi che quelli moderni presenti sulla Terra discendono dai lupi del Vecchio Mondo, con la conseguente deduzione che gli umani che colonizzarono l’America 12.000-14.000 anni fa erano accompagnati da cani.
Come abbiamo visto la storia del cane si perde nella notte dei tempi, e si intreccia indissolubilmente a quella dell’uomo.
Partendo da un lupo o da un “proto cane” a seconda delle teorie che abbiamo affrontato, l’uomo ha poi generato centinaia di razze canine riconosciute, morfologicamente e psichicamente molto differenti.
Il cane come molti altri animali domestici porta i classici segni del processo di domesticazione, molti di questi sono tipici di un prolungamento di caratteristiche infantili, come le orecchie pendenti, la coda arricciata, la forma arrotondata della testa e anche il modo di abbaiare.
Questo fenomeno in biologia si chiama neotenia, ed è interessante sottolineare che lo stesso essere umano si ritiene evoluto dalle scimmie per caratteri neotenici, come l’assenza di peli, dimensioni dei denti, rapporto testa – corpo ecc.
Secondo Coppinger e Smith nel caso dei cani, si ritiene che a diversi gradi di neotenia corrisponderebbero anche diverse morfologie e attitudini comportamentali dei cani. Un importante studio sugli effetti della domesticazione sono stati svolti negli anni quaranta dal genetista russo Dmitri Belyaev, sulla volpe siberiana (Vulpes vulpes).
In pratica si iniziarono ad allevare volpi siberiane selvatiche selezionandole in base al grado di docilità, suddividendole in varie classi: classe I, quando mordevano lo sperimentatore, classe II quando si lasciavano carezzare senza essere amichevoli, e classe III quando si mostravano amichevoli.
Gli esperimenti per la classificazione della classe partivano da cuccioli di 1 mese ai quali veniva offerto del cibo e nel contempo si cercava di accarezzarli e manipolarli, osservando il grado di docilità fino agli otto mesi di vita.
Facendo poi riprodurre solo volpi di classe III, dopo appena sei generazioni dovettero aggiungere una nuova classe (IE, domesticated elite).
Queste volpi avevano caratteristiche analoghe a quelle dei cani, tanto da cercare attivamente l’attenzione degli sperimentatori scodinzolando la coda.
Dopo 20 generazioni il 35% delle volpi era classificato come IE, oggi si è giunti fino all’ 80%. La selezione in base alla docilità portò anche alla luce cambiamenti fisiologici in merito al sistema ormonale e dei neurotrasmettitori, fattori che influenzano alcune caratteristiche comportamentali.
Fu quindi riscontrato nelle generazioni addomesticate, un calo di attività nelle ghiandole adrenaliniche e un livello maggiore di serotonina.
Si cominciò anche a notare l’apparizione di caratteristiche fisiche prima d’ora molto rare nelle volpi selvatiche, come la coda corta e la presenza di macchie chiare o bianche nel mantello, e iniziarono a farsi notare anche alcuni dei tipici caratteri neotenici, come le orecchie pendenti, il muso corto, ecc.
Nel frattempo si assistete anche all’anticipo di alcune caratteristiche dello sviluppo, come la precoce apertura degli occhi nei cuccioli e una tardiva reazione di paura agli stimoli esterni.
Questo fattore infatti, determina l’anticipazione della cosiddetta “finestra di socializzazione”, che nelle volpi selvatiche avviene più tardi. Nei cani la finestra di socializzazione, durante la quale gli animali stabiliscono legami sociali, si “apre” quando i cuccioli aprono gli occhi e le orecchie e iniziano a esplorare il mondo, e si “chiude” quando iniziano ad avere paura degli stimoli esterni.
Questo cambiamento in ragione della precocità e della durata della “finestra di socializzazione” nelle volpi addomesticate, è analoga a quella dei cani, e gli studi di Dmitri Belyaev sulle volpi siberiane hanno fornito le prove del fatto che il mantenimento di caratteristiche fisiche e psichiche infantili è una caratteristica fondamentale del processo di addomesticamento dei cani.
Dopo questo excursus sulla storia del cane, non possiamo che comprendere quanto la nostra specie sia legata a questo meraviglioso animale.
Scientificamente possiamo chiamarla coevoluzione, o più romanticamente amicizia, ma quello che viene da chiederci è: quanto l’uomo debba al cane, e viceversa? Molti potrebbero parlare di opportunismo, e forse inizialmente si è trattato di questo; ma probabilmente l’opportunismo è stata la prima forma di amicizia, e immaginando l’ambiente preistorico, ostile e fatale in cui vagavano i due animali (uomo e lupo), non è difficile comprendere quanto fosse appropriato all’epoca il famoso proverbio: “l’unione fa la forza”.
Forse non c’è una risposta alla domanda che ci siamo fatti, ma di sicuro noi esseri umani dobbiamo molto al cane, e probabilmente senza di esso il nostro destino sarebbe stato molto differente.
L’uomo e il cane rappresentano una forma di simbiosi d’eccellenza, in cui le due specie si sono scelte, e si sono evolute influenzandosi a vicenda.
Di certo l’uomo a un certo punto ha selezionato il cane, esaltandone aspetti fisici e psichici in base al fatto che dovesse accompagnarlo nella caccia, difendere la casa, o spostare il bestiame e via dicendo; ma il cane inconsapevolmente ha esercitato nell’essere umano una qualche influenza? L’uomo sarebbe così com’è se non avesse incontrato il cane? La risposta forse possiamo trovarla dentro di noi, ogni volta che guardiamo negli occhi il nostro migliore amico.
* Il termine locus genico (o più semplicemente locus, plurale loci) designa la posizione di un gene o di un'altra sequenza significativa all'interno di un cromosoma.
Bibliografia:
Coppinger, R. and Coppinger, L. (2001) Dogs. Una nuova sorprendente chiave di lettura dell'origine, dell'evoluzione e del comportamento del cane
Coppinger, R.P. and Smith, C.K. (1983) The domestication of evolution. Environmental Conservation
Coppinger, R., Glendinning, J., Torop, E., Matthay, C., Sutherland, M. and Smith, C. (1987) Degree of behavioral neoteny differentiates canid polymorphs. Ethology 75: 89-108.
Simon and Schuster, New York, NY. Leonard, J.A., Wayne, R.K., Wheeler, J., Valadez, R., Guillen, S. and Vila, C. (2002) Ancient DNA evidence for Old World origin of New World dogs.
Lorenz, K. (1954) E l'uomo incontrò il cane
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