Troppa Trippa Report - Un pò di chiarezza
Qualche settimana fa è stata trasmessa su RaiTre una delle tante puntate di un programma tra i più apprezzati ad oggi sulla televisione: Report.
Un programma che si occupa di inchieste di vario tipo, la sera del 6 Dicembre (in replica il 30 agosto 2016) si è occupato di una questione che sta molto a cuore di chi ha un cane o un gatto: che cosa mangiano i nostri animali per tutta la loro vita.
Oggi in Italia esistono tantissimi supermercati per animali, spesso più di uno per città, che propongono solo prodotti per loro; giochi, cucce, libri, attrezzature veterinarie, ma soprattutto cibo.
A tal proposito, Report ha messo al fuoco molta carne (oserei dire “molta trippa”, visto che l’hashtag con cui è stata lanciata online era appunto #troppatrippa) che però ha dato poche risposte risultando a nostro avviso troppo critico nei confronti delle aziende mangimistiche (che comunque hanno la loro parte di colpa, sia chiaro) e troppo poco esauriente nei confronti degli ascoltatori che ne sono “usciti” più spaventati che avendo in mano una soluzione concreta per l’alimentazione del proprio cane o del proprio gatto.
È per questo che noi di Cani.it abbiamo voluto approfondire i singoli temi trattati nella puntata, in collaborazione con un medico veterinario.
Abbiamo analizzato tutta la puntata e suddiviso la nostra trattazione in dieci diverse sezioni, lasciando perdere solo le parti in cui avevamo poco da dire (la parte iniziale che riguarda il marketing non alimentare relativo agli animali da compagnia, e la parte in cui ci si chiedeva come vengono trattati gli animali su cui i mangimi vengono sperimentati, visto che non abbiamo avuto la possibilità di visitare centri di valutazione mangimistica).
Per tutto il resto, lasciamo di seguito la puntata di Report e le dieci sezioni che siamo andati a scandagliare.
Approfondiremo gli aspetti nutrizionali, sanitari, di marketing, di rapporti con i veterinari, che sono stati appena accennati nella puntata di Report sperando di fare cosa gradita ad ogni proprietario di un animale da compagnia... e ai loro amici a quattro zampe, per rendere tutti più consapevoli della realtà che ci circonda.
- Perché i medicinali veterinari analoghi a quelli umani costano molto di più?
- Che differenza c'è veramente tra le tantissime varietà di mangimi per animali?
- Come vengono prodotti industrialmente i mangimi per animali?
- Come si legge l'etichetta dei mangimi?
- La dieta naturale può sostituire la dieta industriale? E come può farlo?
- Perché i veterinari consigliano i mangimi industriali piuttosto che preferire le diete?
- Che cosa sono le micotossine che si possono trovare nei mangimi? Sono pericolose?
- Come funziona il marketing delle aziende mangimistiche?
- I mangimi industriali contengono sostanze cancerogene?
- Gli animali si abituano ai mangimi industriali? E come possiamo far cambiare abitudine?
Perché i medicinali veterinari analoghi a quelli umani costano molto di più?
Uno dei quesiti sollevati dalla puntata di Report è stato quello relativo ai medicinali veterinari. La parte del video in cui se ne parla è quella che va dal minuto 6.10 al minuto 7.50.
Il problema sollevato consiste nel fatto che i medicinali veterinari, a parità di principio attivo e spesso anche a parità di eccipienti (ovvero sostanze non farmacologicamente attive ma necessarie per fare la pillola, il liquido, la compressa considerando in che organo va a finire) rispetto ai farmaci umani, costano molto di più.
Cifre che possono aumentare di tre, quattro volte ed arrivare addirittura fino a venti volte il prezzo dell’equivalente umano.
Questo, come tutti i proprietari di cani sanno, è vero. Non ci vuole molto a valutare una differenza di costo per questi prodotti, si può vedere direttamente sugli scaffali in farmacia o con un qualsiasi informatore farmaceutico online.
La differenza di prezzo dipende da diversi fattori.
Il primo è che le aziende farmaceutiche che sviluppano medicinali veterinari sono meno rispetto a quelle che sviluppano farmaci umani, e questo significa che c’è meno concorrenza e si possono tenere dei prezzi più alti.
Molti farmaci veterinari inoltre sono stati brevettati di recente, e i brevetti non sono ancora scaduti per cui un’altra ditta non può proporre una forma in generico di quel farmaco, fin quando il brevetto non scadrà. Con il generico, i prezzi potrebbero scendere.
Altra differenza dipende dal fatto che, in medicina umana, i medicinali hanno un costo che spesso e volentieri viene abbassato, se non annullato, dal Servizio Sanitario Nazionale (la “mutua”) che vale però per gli uomini e non per gli animali.
Farmaci come l’insulina per i diabetici sono gratuiti per l’uomo, o meglio per il paziente, perché è molto oneroso fabbricarli; un diabetico ha l’insulina gratis perché la paga il SSN (che poi sono i soldi delle nostre tasse), mentre per gli animali deve pagare tutto il proprietario, e questa è una differenza importante.
Ma la differenza in assoluto più importante è un’altra. Il farmaco veterinario, nonostante sia l’identico principio attivo, deve essere creato seguendo una legge completamente diversa da quella dal farmaco umano (nello specifico la legge sul farmaco veterinario è il D. L.vo 193/06, italiano) per il quale non c’è una “scorciatoia” nella sperimentazione per i principi attivi già approvati per uso umano.
Così l’azienda farmaceutica deve sperimentare ogni principio attivo da zero, come se fosse appena stato scoperto.
Deve testarlo su più specie animali e non solo su quella di interesse, deve valutare se funziona o no, se è pericoloso per l’animale e a quali dosi, la via migliore per somministrarlo, se è pericoloso per le persone che vengono in contatto o che mangiano (nel caso di maiali, o bovini) quell’animale, o con le sue deiezioni...
Se a questo si aggiunge il fatto che per alcune sperimentazioni non c’è un lieto fine (magari quel farmaco sul cane non funziona, o funziona ma ne rimane troppo nelle feci e chi le respira potrebbe inalarlo e avere problemi respiratori) e bisogna partire da zero con un’altra sperimentazione, i costi sono esorbitanti.
E i costi devono essere recuperati dal prezzo di vendita del farmaco: se si considera che per prima cosa gli animali sono meno dell’uomo, che per ogni specie ci vuole una sperimentazione diversa (se voglio usare un farmaco su cane e gatto devo fare due sperimentazioni distinte partendo da zero) e che non tutti i proprietari, per vari motivi, curano gli animali, le minori vendite del farmaco veterinario fanno sì che questo debba necessariamente costare di più per ripagare i costi precedenti.
A questo “gioco” non si bara: un veterinario infatti deve per legge indicare per ricetta un farmaco veterinario, e non umano, perché un farmaco umano potrebbe essere pericoloso per quell’animale.
E perché le industrie farmaceutiche sono influenti, quando vengono scritte le leggi, inutile girarci intorno.
Spesso i veterinari “in via amichevole” consigliano di fornire un farmaco umano, magari venduto senza ricetta, per far spendere meno il proprietario, ma questo non potrà mai essere nero su bianco (il veterinario rischia multe salatissime): se il proprietario lo da al suo cane, lo fa a suo rischio.
Di solito di questi consigli ci si può fidare, perché il veterinario se consigliasse un farmaco sbagliato perderebbe il cliente, ma sappiate che le strade sono due: fidarsi, sempre se il veterinario consiglia un farmaco umano, o farsi fare la ricetta del farmaco veterinario (e allora siamo tutelati) ma pagare di più.
Allo stato attuale delle cose, non ci sono alternative.
Che differenza c'è veramente tra le tantissime varietà di mangimi per animali?
Dal minuto 10.30 al minuto 12.00, in particolare, ma con richiami continui in tutta la puntata, Report ci ha mostrato le tantissime varietà di mangimi per animali che si possono trovare nei negozi specifici.
Report metteva questo punto su un piano molto ironico, ma è impossibile non essere mai entrati in un negozio di animali e non esserci mai posti la domanda “E adesso?”
Intere corsie di mangime, mangime, mangime per cani e gatti. E ogni confezione è diversa dall’altra, e si va dagli alimenti per animali che hanno problemi (epatici, renali), che hanno un loro perché, a prodotti che sfiorano il limite del comico e del ridicolo, come il mangime per gatti pigri.
Ma che differenze ci sono in realtà tra tutti questi prodotti?
Al di là della macro-distinzione di mangimi per cani e mangimi per gatti che non vanno mai scambiati (a dire il vero il gatto può mangiare quello per cani ma non viceversa) personalmente li distinguo in mangimi per animali con problemi di salute e mangimi per animali che non ne hanno.
Io li chiamo specchietti per le allodole, ovvero mangimi fatti apposta per far spendere di più. Detto a denti stretti.
Iniziamo da quelli che hanno un senso di esistere, i mangimi per animali con dei problemi. Costano molto di più di quelli normali, e il costo è assolutamente ingiustificato, serve a far pensare al cliente che abbiano qualche medicina dentro, ma non è così. I mangimi medicati per legge devono avere una mega striscia azzurra sulla confezione, diagonale. Ne avete mai visti?
I mangimi come “renal”, “epatic”, “intestinal” e via dicendo in realtà non hanno qualcosa in più rispetto agli altri, ma hanno qualcosa in meno.
Sono mangimi di supporto, non sono cure, e ad esempio un “epatic” avrà meno grassi, che altrimenti si accumulerebbero in un fegato già debilitato.
Un “intestinal” ha sostanze più semplici da digerire e da assorbire, perché l’intestino dell’animale non riesce a farlo nelle condizioni migliori.
Questo potrebbe essere sostituito anche da alcuni accorgimenti come delle diete di supporto casalinghe (il che vuol dire che si fanno in casa ma le formula un veterinario), specialmente nei casi più gravi, che farebbero anche risparmiare. Ma bisogna perderci tempo.
Comunque, questi mangimi come dicevo hanno senso di esistere perché fornire un mangime “renal” a un animale in IRC (Insufficienza Renale Cronica) significa facilitare il lavoro dei reni che già non ce la fanno a filtrare. Fornire un mangime ”normale” alla lunga farebbe peggiorare la situazione.
Sottolineamo che questi specifici mangimi, sono carenti in qualche componente e non arricchiti, motivo per cui si danno solo se lo dice il veterinario, e se ne parla con lui. Non si danno così, a caso.
E poi ci sono gli altri mangimi. Personalmente sono contrarissimo a spendere di più per avere la stessa cosa, e sono per la legge del taglione un po’ rivisitata.
Della serie: “Sei grasso? Mangi meno e ti muovi di più, caro il mio cane”.
Ti fa bene e certo non voglio pagare di più per un mangime che ha un po’ meno grasso rispetto agli altri. Semplicemente, te ne do meno. Prima che tu arrivi ad essere denutrito, ha da passarne, di tempo.
Io mi chiedo che cosa le persone penserebbero se entrassero in un supermercato e trovassero “mangime per uomo”, “mangime per donna”, “mangime per ragioniere”, “mangime per architetto”, “mangime per muratore” e così via. Questo è ciò che facciamo ai nostri cani. Li stereotipiamo.
Noi cambiamo ogni giorno la nostra alimentazione, variamo, e questo ci fa bene. Per natale si ingrassa di 10 kg, d’estate si fa la dieta. Fa parte della vita. Un cane in natura passa giorni a rimpinzarsi del cinghiale che ha cacciato e poi magari una settimana senza vedere cibo. E noi ci preoccupiamo del fatto che un Pastore Tedesco non mangi mangime per Labrador perché gli fa male? Ma scherziamo?
Le differenze sono minime in questo senso. Uno 0,2% di proteine in più o in meno certo non fa male né intossica il nostro animale, e anzi cambiare, al di là di quello che dicono le industrie mangimistiche, fa bene. Eccome se fa bene.
Il consiglio che do io è quello di cambiare il più possibile marca, modello, fascia di prezzo del mangime.
Non repentinamente ma gradualmente nel giro di due o tre giorni (altrimenti potrebbe venire un po’ di diarrea, quello sì) per tutta la vita del cane.
Finito un sacco se ne compra un’altra marca, poi un’altra, a rotazione. Forniremo componenti leggermente diversi, e questo arricchirà le sue riserve e le risorse che il cane ha a disposizione. I cani non sono macchine, che o ci metti la benzina o quella si ferma, ma sono organismi viventi e complessi, proprio come noi che non vorremmo trovare i “mangimi per single” nei nostri supermercati.
E termino con una domanda: se in un negozio trovo un mangime per Labrador, un mangime per cani pigri e un mangime per cani a pelo nero, come mi comporto io che ho un Labrador nero pigro?
Come vengono prodotti industrialmente i mangimi per animali?
La puntata di Report ha focalizzato molto l’attenzione sul mangime industriale per gli animali, non dicendo però alla fine come questo venga prodotto e, anzi, che sarebbero voluti andare a visitare una fabbrica con le loro telecamere ma ogni produttore di mangime ha risposto di no.
La questione non è affrontata direttamente, ma dal minuto 12.00 al minuto 14.00, parlando degli ingredienti contenuti nei mangimi, vengono mostrati degli spezzoni della lavorazione di alcuni dei mangimi per animali, ed è da questo che partiamo per approfondire l’argomento.
L’idea che personalmente mi sono fatto è che queste aziende non volessero le telecamere semplicemente considerando il programma, che sarebbe andato (verosimilmente) a screditare la produzione su tutta la linea. E nonostante si tratti di una mia idea non lo dico a caso: io nei mangimifici ci sono stato e non sono così terribili come si vorrebbe far credere. A dire il vero, non sono poi così diversi, almeno alla vista, da un moderno mulino per la farina.
Si entra dentro e c’è polvere, tanta polvere, dappertutto. Si perché i mangimi per animali vengono prodotti dalla polvere. E poi tantissimi macchinari che lavorano a volumi esagerati, per cui gli operatori lavorano con le cuffie, e non si capisce una parola.
Il processo di produzione è pressappoco questo.
Tutto parte con le farine. Dovendo miscelare tra loro carne, mais, minerali, parti di verdure e via dicendo, sarebbe impossibile farlo se tutti questi ingredienti non avessero una forma omogenea: questo significa che tutte le materie prime vengono ridotte a farina.
Finché si parla di farina di mais o farina di grano, che spesso costituiscono i mangimi per larga parte, non è difficile immaginare come viene prodotta la farina (viene macinata la cariosside, insomma il chicco della pianta).
Ma anche carne e pesce vengono ridotti a farine, quindi macinati ed essiccati: insomma, quando sui mangimi vedete scritto “carne fresca” la carne era fresca... Prima che ci facessero la farina. Se come ingrediente vedete la farina vuol dire che il mangimificio l’ha acquistata già come farina e non come carne intera. Non esistono quindi mangimi con carne fresca come la intendiamo noi, come la vediamo in macelleria.
La farina di carne o di pesce è un sottoprodotto di origine animale, che deriva da tutte quelle parti che noi non si mangiano.
Quindi per la carne niente bistecche, filetto o coscia, ma muscoli più duri, tendini, ossa, mammelle, polmoni; per il pesce, testa e lische.
Quando vediamo scritto “con manzo” significa che sono queste parti del manzo, anche se sulla confezione c’è disegnata una bella bistecca.
Non c’è dentro, mai. C’è da dire che cani e gatti, che sono animali carnivori, digeriscono quelle parti del corpo animale che noi uomini non riusciamo a digerire, perché hanno un’acidità gastrica maggiore della nostra.
Prodotte quindi le farine a partire da animali e vegetali, ed unita la giusta quantità di vitamine e sali minerali, anch’esse sotto forma di farina, tutto viene miscelato perché il composto diventi omogeneo e non finisca, ad esempio, tutta la farina di carne in una confezione e tutta la farina di mais in un’altra.
Poi tutto viene cotto: si aggiunge acqua, vapore acqueo e si aumenta tantissimo la pressione per sterilizzare il tutto. Quello che rimane è un “pastone”.
Questo processo è comune sia alla produzione del mangime umido, delle scatolette, che a quella del secco, le crocchette: la differenza essenzialmente è che nell’umido c’è molta più farina di carne, generalmente la metà, rispetto al secco, in cui si aggira sul 20-30% del mangime finito.
A questo punto, se il mangime è umido, una macchina pressa questo pastone e va a formare i “quadretti” che si trovano dentro la confezione. Viene aggiunto anche un liquido ricco di grasso e di aromi, aromi che ovviamente piacciono agli animali, come gli estratti dell’intestino degli erbivori, che è un sapore che amano particolarmente. Questo “trucco” serve ad abituarli a quel mangime e fare in modo che poi rifiutino gli altri.
Terminata la composizione, il tutto viene messo nelle scatolette, che vengono chiuse ermeticamente sotto vuoto, così che possano conservarsi anche per diversi mesi a temperatura ambiente, pronte per essere consumate.
Se il mangime è secco, il pastone viene invece estruso (un processo simile a quello del gelato, viene mescolato in modo che si formino delle bollicine d’aria all’interno che rendano la crocchetta più morbida da mangiare, altrimenti sarebbe un sasso) e poi si conferisce la forma desiderata tramite un’altra macchina (a ossicino, a cuoricino, sferica, quadrata...).
Il tutto poi si fa essiccare rimuovendo così l’acqua inserita durante la cottura del pastone per permettere la conservazione che non è sotto vuoto in questo caso.
Una volta essiccate, le crocchette vengono ricoperte di un piccolo strato di grasso che le rende sia più appetibili (il grasso veicola il sapore) sia impermeabili e fa in modo che possano essere conservate meglio. Tutto viene insacchettato ed è pronto per la vendita.
Ciascuno può avere quindi l’opinione che vuole dei mangimi industriali, ma il funzionamento della catena del mangimificio è pressappoco questo: a qualcuno può sembrare spaventoso, ma se andiamo in un’industria che fa biscotti per noi umani ci rendiamo conto che il processo non è granché diverso.
Non c’è niente di segreto, e non muore nessun cane durante le sperimentazioni, visto che non si sperimentano medicine, ma semplicemente mangimi; al massimo, se non sono appetibili, gli animali non li mangiano.
E comunque il benessere animale negli animali ad utilizzo industriale, almeno in Italia, è tenuto sotto stretta sorveglianza dai servizi veterinari delle ASL.
Come si legge l'etichetta dei mangimi?
Una delle questioni più importanti tra quelle sollevate dalla puntata di Report è quella relativa al contenuto dei mangimi industriali.
Etichette che si leggono con la lente di ingrandimento, ingredienti non indicati, più vegetali che carne sono cose che hanno spaventato abbastanza i consumatori.
Di questo argomento si parla un po’ in tutta la puntata, ma in particolare dal minuto 14.00 al minuti 15.00 vediamo un veterinario leggere l’etichetta con la lente di ingrandimento, lettura che continua anche dal minuto 33.50 al minuto 34.30 della trasmissione.
Ma come si legge in realtà un’etichetta delle confezioni dei mangimi?
In questa sezione ne analizzeremo le voci, cercando di capire come si possa sapere se abbiamo davanti un prodotto buono o un prodotto scadente.
Una premessa: per scegliere un mangime, è bene parlarne con un veterinario. Non fidarsi assolutamente dei negozianti, che non hanno le competenze, spesso, per valutare la qualità di un mangime anche se ci sono sempre a contatto.
Una volta sono capitato in un negozio per animali con un’altra persona e il suo cane (sano come un pesce). La promoter di un’azienda che faceva promozione le disse “quel cane è grassissimo, dovrebbe mangiare questo mangime”.
Cane con Body Condition Score di 4/9. Perfetto. Questo la dice abbastanza lunga.
Tornando alle nostre etichette, ecco le cose a cui bisogna fare attenzione nella scelta.
- La prima cosa che bisogna controllare sul mangime (a parte se sia per cani, gatti o altre specie) è la denominazione. Se è un mangime completo è da solo sufficiente a coprire i fabbisogno dell’animale, se è un mangime complementare gli manca qualcosa e va integrato. Cosa, va evinto dell’etichetta o chiesto al veterinario (o al negoziante ma non è detto che lo sappia).
- Abbiamo poi la destinazione, ovvero la fase della vita dell’animale, che può essere cucciolo, adulto, anziano, in gravidanza o in lattazione, in linea di massima. E qui è difficile sbagliare.
- La classificazione è anch’essa molto semplice da capire, perché è la differenza tra umido, semiumido e secco. Se l’acqua presente è sopra al 34% nel prodotto il mangime è umido, se è tra il 14% e il 34% è semiumido, se è sotto al 14% è secco. Ma si valuta anche dalla confezione senza troppa difficoltà.
Sugli ingredienti il discorso è un po’ più lungo. Gli ingredienti sono regolamentati dal Reg. CE 767/2009, una legge un po’ più datata rispetto alla legge che parla degli ingredienti per gli alimenti umani, che è il Reg. CE 1169/2011.
È quella che ci ha fatto “scoprire” l’olio di palma, che per gli animali non avremmo mai scoperto con la legge che regolamenta i loro mangimi.
Gli ingredienti sono indicati in ordine decrescente, per cui il primo è quello più presente, e se non è carne o pesce questo può essere un problema, perché il mangime contiene, per dire, più mais che pollo e non è ideale per un animale carnivoro.
Attenzione anche alla suddivisione, ovvero a quante volte è scritto mais. Se io trovo ad esempio, carne, mais intero e mais tritato, la carne è più degli altri due, ma gli altri due vanno sommati, perché sempre mais è. Per cui alla fine c’è comunque dentro più mais che carne. Attenzione a questa lista, che è molto importante.
Alla fine della lista ci sono le integrazioni, che possono essere vitamine o oligoelementi.
Ma, diceva anche Report, alcune sostanze non è obbligatorio indicarle, e purtroppo questo è un buco normativo.
Sono aggiunte, non ingredienti (per cui ce ne sono pochissime di queste sostanze) ma ci sono e purtroppo bisogna aspettare una normativa nuova, o una modifica della stessa, perché vengano scritti: per adesso non è obbligatorio.
Infine ci sono i tenori analitici, insomma la tabella nutrizionale, che suddivide tra i macrocomponenti così come sono stati analizzati nel laboratorio le sostanze che si trovano nel mangime. Possiamo trovare le seguenti voci:
- Proteine grezze: sono le proteine che i macchinari del laboratorio hanno identificato nel mangime. È da notare che le proteine sono “grezze” e non “digeribili” perché non si tiene conto della digeribilità: se tra gli ingredienti molti sono vegetali, queste proteine saranno meno digeribili di quelle della carne o dei prodotti di origine animale. Ma questa suddivisione non tiene conto della differenza, e la valutazione va fatta da soli o con l’aiuto di qualcuno. Vanno dal 22% al 26% nel mangime da adulto, dal 24% al 28% nel cucciolo, che ne ha più bisogno.
- Oli e grassi grezzi: sono i grassi contenuti, e sono “grezzi” per lo stesso motivo delle proteine solo che i grassi non hanno problemi di digeribilità. Sono in generale i lipidi presenti nell’alimento.
- Cellulosa grezza: è la cellulosa, ovvero le fibre, la parte di alimento non digeribile dall’animale. Non è digeribile ma ci deve essere perché aiuta il transito intestinale degli altri alimenti, e solitamente si aggira intorno al 5% nei mangimi.
- Ceneri grezze: sono i sali minerali, che vengono calcolati bruciando il mangime in stufa e si pesa la cenere rimanente, perché i sali non bruciano. Da qui il nome. Sono calcio, fosforo, ferro, insomma tutto ciò che non brucia. Un mangime non dovrebbe contenerne più del 7%, perché generalmente provengono dalla sabbia e dalle rocce, finemente sminuzzate così che l’animale possa assorbire il calcio. Un alto valore, quindi, non è indice di qualità, anzi è il contrario.
Infine, c’è da notare che tra i tenori analitici non vengono indicati né l’acqua, né i carboidrati. Sono i componenti mancanti, perché se sommiamo i valori degli altri non otteniamo come risultato 100, come dovrebbe essere.
Ciò che manca sono, appunto, gli zuccheri e l’acqua, la cui quantità possiamo solo immaginare perché la legge, al momento, non impone di dire quanti ce ne siano e quindi i produttori non li indicano.
Valutando un mangime, o al massimo fotografando ingredienti e tabella nutrizionale e facendoli vedere al veterinario possiamo avere una valutazione piuttosto precisa della qualità del mangime che abbiamo intenzione di acquistare.
La dieta naturale può sostituire la dieta industriale? E come può farlo?
Nella puntata di Report è stata posta molta attenzione sul divario che c’è tra dieta naturale, o meglio dieta casalinga, e dieta industriale, quindi quella che si fa con i prodotti che si acquistano in negozio per animali.
Il servizio era montato in modo da risultare un po’ (parecchio) di parte a favore della dieta naturale, a scapito di quella industriale, con tanto di interviste a persone che dopo aver provato varie formulazioni industriali senza che il cane guarisse sono passati alla dieta casalinga e il cane è guarito come per magia.
Nello specifico, dal minuto 16.00 al minuto 18.50 alcuni medici veterinari parlano delle diete, mentre al minuto 33.50 si possono trovare le interviste ai singoli proprietari dei cani che hanno tratto benefici dalla dieta naturale.
Partiamo dal presupposto che la dieta è importante nella vita di un animale, ma non è tutto.
Negli anni ’60, e qualcuno lo fa ancora, i cani venivano lasciati a fare la guardia e si cibavano di pochi ossi senza nemmeno la carne, e vivevano con il cibo di un agricoltore (generalmente) che non ne sapeva granché di alimentazione animale.
Questo per dire che l’attenzione verso l’alimentazione è aumentata esponenzialmente in questi anni, ma anche che se il cane come animale è riuscito a sopravvivere dalla preistoria ad oggi significa che è in grado di sopravvivere anche senza veterinari, nutrizionisti e mangimi. In generale.
Tra le diete per animali, possiamo distinguere tre tipi di alimentazioni diverse: la dieta fatta con gli avanzi, quella industriale e quella formulata da un veterinario nutrizionista. Un veterinario, non il primo che capita, perché è in grado di valutare anche gli esami del sangue, eventuali patologie concomitanti ed eventualmente di prescrivere qualche farmaco se serve e se l’animale ha un problema.
Che già (come vedremo più avanti) non ci sono i veterinari che si intendono di alimentazione, figuriamoci se se ne intendono figure che lo fanno perché magari hanno avuto cani per 20 anni, senza alcuno studio specifico.
La dieta con gli avanzi è da evitare. Se non abbiamo le basi per sapere che cosa fornire all’animale, rischiamo di non fornire l’energia necessaria, o le proteine necessarie, o il calcio necessario (questo potrebbe essere un grosso problema) ed avere poi malattie da carenza.
E non è detto che l’animale sia denutrito, ma che possa avere carenza di un oligoelemento, o di una vitamina, che può portare a problemi come anemie o patologie visive o cardiache. Per cui assolutamente è da evitare questo modo di comportarsi, perché è molto probabile che l’animale poi si ammali.
La dieta industriale è sicuramente la soluzione più utilizzata, dalla maggior parte dei proprietari.
È una soluzione comoda, e comunque siamo sicuri che gli animali non vanno incontro a carenze, mangiando quei mangimi, specialmente se abbiamo il buonsenso di cambiare spesso quello che scegliamo, perché delle micro-carenze ci sono in ogni mangime e variando si compensano a vicenda. Questa è una regola generale.
Il fatto che la dieta industriale possa portare a dei problemi, è un rischio che chiaramente si corre sempre, rischio che abbiamo anche noi uomini con i nostri, di alimenti: nonostante siano formulati con una logica, siano testati, i problemi sia di conservazione sia di intolleranza o allergia da parte dell’animale sono sempre dietro l’angolo, e questo succede perché un mangime perfetto non esiste.
Ma non esiste la perfezione, non è che i mangimi industriali siano veleno: se tutti i cani morissero mangiandone, non li acquisterebbe più nessuno.
Se un 1-2% dei cani che li mangiano hanno problemi è un parametro normale. Intolleranze del genere ci sono anche con i medicinali, con i tessute per le cucce, con gli shampoo per cani, con le terapie e così via. Non è una cosa strana.
La dieta naturale, chiamiamo così quella dieta che viene formulata da un nutrizionista, è sicuramente la migliore e non tanto per gli ingredienti che sono di qualità migliore (cosa che comunque è da considerare) quanto per il fatto che sono personalizzate in base ai fabbisogni, alle caratteristiche e alle problematiche patologiche del singolo cane. Non solo: sono personalizzate e cambiano man mano che la patologia del cane o la situazione del cane cambia.
Però non sono diete per tutti. Si possono fare, se si riesce a trovare qualcuno che ne formula, ma bisogna pagare la dieta oltre agli ingredienti, per cui il tutto è più costoso, e poi bisogna cucinare per il cane, che richiede anche tempo. E non bisogna sgarrare, se qualcosa manca bisogna andare a comprarlo, non si può esagerare con le dosi, insomma ci vuole impegno e concentrazione costante.
È una soluzione da prendere sì in considerazione, ma a mio avviso solo in situazioni particolari: se il cane sta bene, l’industriale può andare comunque bene. Ci sono migliaia di cani che sono morti a 15-16 anni per cause naturali che hanno sempre mangiato alimentazione industriale, che è più semplice da gestire e da utilizzare.
E poi, una cosa importante da valutare: i problemi dell’alimentazione industriale emergono perché c’è un grande numero di animali che ne fa uso. Se questi animali fossero meno, non emergerebbero.
E questo potrebbe anche valere per l’alimentazione naturale: visto che nessuno finanzia gli studi (le università non hanno soldi e le ditte mangimistiche non hanno interesse) ad oggi mancano proprio solide basi scientifiche che valutino la differenza tra una dieta industriale e una dieta naturale.
Quest’ultima è, “a naso”, tendenzialmente migliore dell’altra per i motivi che abbiamo detto prima, ma gli studi specifici che valutino i diversi risultato in corso di patologie della differenza di efficacia tra le due diete sono, ad oggi, troppo pochi per essere significativi.
E mancando delle basi scientifiche i dubbi sono, e rimangono, leciti.
Perché i veterinari consigliano i mangimi industriali piuttosto che preferire le diete?
Uno dei punti relativamente all’alimentazione su cui la puntata di Report ha insistito molto riguardo ai mangimi è il fatto che le aziende mangimistiche spesso convincono i veterinari a consigliare ai clienti le diete industriali piuttosto che quelle formulate dai loro colleghi nutrizionisti.
In questo senso, però, non è stata lasciata la parola a quei medici che consigliano le crocchette, bensì ai clienti che se le sono sentite consigliare: le interviste ai clienti dei supermercati a tal proposito si trovano al minuto 19.00 del video.
Ma perché un veterinario, che ha studiato per fare il suo lavoro, non preferisce consigliare le diete naturali ai nostri amici a quattro zampe?
Le risposte a questa domanda sono molteplici, e vanno valutate tutte insieme e non una alla volta: prendendole in considerazione tutte abbiamo un quadro più chiaro del perché di questa scelta, che non è completamente sbagliata, da parte del medico.
Premessa: in un mondo come questo, in cui internet ci fa pensare che “siamo tutti esperti di tutto”, si tende sempre a giudicare l’operato dell’altro senza spesso averne le basi. Prima di bollare come “idiota” un professionista come un veterinario, ma anche un medico, un avvocato, un ingegnere, proviamo a considerare che se lui fa qualcosa che non ci sembra corretto, forse un motivo c’è.
Il primo problema, che è un problema grave ma che non dipende da noi, è che le università non preparano adeguatamente i veterinari relativamente al comparto alimentare.
Non bisogna infatti dimenticare che un veterinario non cura solo cani e gatti ma anche animali zootecnici, per cui bovini, ovini, suini, cavalli e uccelli.
Queste specie animali hanno una serie di attenzioni relative all’alimentazione e alla nutrizione molto più sviluppate rispetto a quelle dei cani e dei gatti, e a queste specie (bovini in particolare) viene data molta più importanza, relegando gli animali da compagnia a poche ore di spiegazione.
Questo dipende dall’organizzazione attuale delle facoltà, quindi dal MIUR, più che dai singoli veterinari.
Inoltre c’è da dire che non tutti i veterinari hanno gli stessi interessi.
Anche solo rimanendo nell’ambito degli animali da compagnia (ed escludendo quindi animali da reddito e ispezione degli alimenti, gli altri due grandi settori della veterinaria) c’è la medicina e c’è la chirurgia, e nell’ambito della medicina ci sono tante altre sottobranche.
Solo una è l’alimentazione.
Ma spesso molti veterinari si intendono di altre (e, anzi sono bravissimi) ma non si intendono di alimentazione. Succede così anche tra i medici umani, non è una cosa così strana.
Altra cosa che viene presa in considerazione è il costo della dieta formulata appositamente.
Si deve considerare sia il costo della dieta, pagare insomma chi la formula, sia il costo degli ingredienti che, checché ne dica Report, alla fine sono più costosi rispetto all’alimentazione industriale.
E quando ci sono persone che ti chiedono di pagare a rate i 150 euro della sterilizzazione del cane, perché sono troppi da pagare tutti insieme, con quale faccia voi consigliereste di rivolgersi ad un nutrizionista per la dieta dell’animale ad una persona che ha evidenti problemi economici?
E poi c’è l’industria alimentare, che preme molto dall’altra parte, questo è innegabile. I rappresentanti girano cliniche ed ambulatori continuamente, e non lasciano solo magliette, ciotole, campioncini gratuiti e volantini, ma anche documentazione scientifica, che per un veterinario è la parte più importante.
Sono veri e propri libri che contengono studi, differenze nell’utilizzo dei mangimi in corso di patologie, o in corso di situazioni particolari, spiegazioni approfondite riguardo alla biochimica delle sostanze presenti dei mangimi, al metabolismo: questo nessuno lo fa per le diete formulate da un veterinario e personalizzate. Per cui queste diete possono anche essere perfette, ma nessuno lo saprà mai.
Ultima cosa, entra in campo l’esperienza del veterinario, che spesso fa quel lavoro da 10, 20 anni e si è fatto una sua idea relativamente a quali sono i mangimi migliori, quelli che piacciono di più, quelli che fanno ingrassare, quelli che provocano problemi renali.
Un veterinario, nel fornire il servizio migliore possibile, si fa delle domande e spesso si da delle risposte che arrivano dall’esperienza, una cosa che nessun “esperto improvvisato” può mai avere al suo pari.
Prima di bollare il veterinario come “incapace” e passare a un altro che, probabilmente, vi consiglierà la stessa cosa del primo, provate a chiedere anche se ci siano delle alternative: sicuramente sarà ben lieto di rispondere e di fornire il suo punto di vista sulla cosa. E sul perché consiglia i mangimi industriali piuttosto che ricorrere ad altre soluzioni.
Che cosa sono le micotossine che si possono trovare nei mangimi? Sono pericolose?
Ad un certo punto della puntata di Report, si è parlato delle micotossine. A dire il vero, si è dedicato molto più spazio alle micotossine che ad altri argomenti, perché nel video se ne parla dal minuto 38.30 fino al minuto 45.00.
Alcuni allevatori di cani intervistati avevano visto infatti le loro femmine in gravidanza abortire e i cuccioli morire, si supponeva a causa di queste sostanze. La conferma analitica è arrivata: nei mangimi erano presenti delle micotossine, mangimi che sono stati ritirati dal commercio.
Ma che cosa sono queste sostanze? Possono essere pericolose, e anche mortali, per il cane?
La risposta purtroppo è si. Le micotossine sono sostanze pericolose, tanto per gli animali quanto per l’uomo, a cui alcuni animali possono trasmetterle con le loro produzioni (principalmente il latte).
Sono cancerogene, responsabili di necrosi (morte) epatica, di mutazioni, aborto e malformazioni fetali. Possono essere letali.
È proprio questo elevato grado di pericolosità che ha spinto l’Unione Europea a emanare due leggi distinte per controllare il pericolo, una per gli alimenti destinati al consumo umano e una per gli alimenti destinati al consumo animale (che è la direttiva 2002/32/CE).
In Italia, per chi produce mangimi che ne contengono è prevista una denuncia penale ai sensi dell’articolo 444 del Codice Penale italiano.
Ma che cosa sono le micotossine?
Avete mai sentito parlare di funghi tossici, come quelli appartenenti al genere Amanita? Quei funghi contengono delle micotossine, spesso letali, che se ingerite provocano danni irreparabili all’organismo umano e animale.
Ma esistono anche dei funghi piccoli, microscopici, come quelli appartenenti al genere Aspergillum; questi funghi non si trovano nei boschi, ma nascono sui cereali mal conservati.
Sono quelli che chiamiamo “muffa”, e in condizioni di malconservazione dei cereali, che costituiscono in grande parte i mangimi per cani, nascono sui semi e iniziano a produrre le loro tossine.
Queste tossine possono arrivare direttamente a noi, se sono presenti nel grano destinato alla panificazione, o ai nostri animali se quella stessa farina finisce nel mangime.
Il problema della malconservazione porta al fatto che questi mangimi possono essere buttati (chiaramente, se è tutto ammuffito) ma può essere ammuffita solo una piccola parte del “monte” di granaglie, che non viene quindi vista dagli operatori, e può essere acquistata dall’azienda mangimistica e finire nel mangime.
I mangimi, sia secchi che umidi, come il nostro pane, sono cotti. Il problema è però che queste tossine, che hanno nomi come Aflatossine, Ocratossine, Zeralenoni, Fumonesine in base al fungo che le ha prodotte (ed hanno effetti diversi l’una dall’altra) sono termostabili.
La cottura ad alte temperature non le distrugge, e loro resistono arrivando tal quali nei mangimi che, di fatto, sono velenosi.
Come già detto, però, gli allarmismi sono inutili: il problema è ben noto alle autorità ed è previsto un paio di autocontrollo con analisi per la loro presenza fatto dall’azienda stessa (che lo fa, sia per evitare le sanzioni che per evitare che si crei uno scandalo intorno al suo nome che le farebbe perdere milioni di euro) sia con contro-controlli da parte della ASL di competenza.
Insomma, il problema delle micotossine è tenuto strettamente sotto controllo anche se qualcosa può sfuggire (i controlli non sono fatti su ogni singolo sacco di mangime, sarebbe impossibile, ma a campione ne vengono aperti alcuni) e questo avrebbe conseguenze gravissime sull’uomo e sugli animali.
Ma rinunciare del tutto all’alimentazione industriale non ha senso, perché i casi sono rarissimi.
E poi, come dicevo, non sono a rischio solo i mangimi per cani e gatti, ma anche i prodotti destinati all’alimentazione umana: se per evitare il rischio dovessimo evitare l’industriale poi non dovremmo nemmeno dare al cane pane, grissini, cracker, pasta, tutti prodotti a base di granaglie. E, cosa ancora più assurda, non dovremmo mangiarli nemmeno noi.
Almeno per stavolta, fidiamoci del nostro Servizio Sanitario Nazionale, che è uno dei meglio organizzati del mondo in fatto di sicurezza alimentare. Anche se, ovviamente, nessuno è perfetto.
Come funziona il marketing delle aziende mangimistiche?
In questa sezione ci occupiamo dell’argomento principe della puntata di Report, che ha accompagnato praticamente tutta la trattazione: il funzionamento del marketing delle aziende alimentari.
Report ha spiegato molto bene la situazione, con tanti riferimenti, e anche se alcune cose, come quelle sanitarie, sono state un po’ sovradimensionate, il funzionamento è quello. Lo riassumiamo in poche frasi, per poi andare a capire come potersi rendere conto se quando una cosa che vediamo scritta è vera o si tratta di uno degli stratagemmi tipici di questa disciplina.
Report si è occupato della questione un po’ per tutta la puntata, ma particolarmente dal minuto 45.00 al minuto 46.40, dove si parla solo di quello.
Per prima cosa, le aziende che producono mangimi sono sottocategorie di ben più grandi aziende che producono alimenti per l’uomo. Gli scarti o i sottoprodotti dei nostri alimenti vengono rielaborati e trasformati in mangime per animali, il che permette di avere un altissimo margine di guadagno, la maggior parte del quale viene speso proprio nel marketing.
Le aziende alimentari fanno marketing da ogni punto di vista: sia verso il cliente, con volantini, immagini e pubblicità mirate (anche televisive), sia da parte dei professionisti di settore come addestratori, veterinari e allevatori a cui mandano dei campioni gratuiti da provare e far provare, oltre che documentazione scientifica per il veterinario (vedi sezione 6).
E poi ci sono i negozi per animali, che oltre ad una grande varietà di scelta ospitano promoter delle varie aziende, che consigliano una delle tante varietà del mangime che pubblicizzano.
In questo modo, ovunque ci siano prodotti per animali ci sono gadget, portachiavi, ciotole, magliette, campioncini che hanno un solo scopo: far conoscere l’azienda mangimistica al cliente finale per indurlo a comprare.
La difficoltà per il cliente finale è quella di scindere da ciò che è pubblicità a ciò che non lo è, quindi da ciò che è verità, cosa piuttosto difficile perché anche le vigenti normative non aiutano.
- Per prima cosa, i volantiniche le aziende danno devono essere letti con occhio critico. Frasi come “I nostri mangimi sono prodotti interamente in Italia” o “I nostri ingredienti provengono da allevamento biologico” su un volantino hanno poco senso perché la scritta deve essere riportata direttamente sulla confezione per avere valore. Se le scritte non si trovano sulla confezione, potrebbero riferirsi ad altri mangimi di quell’azienda. Non c’è scritto “Tutti i nostri mangimi...”.
- Attenzione anche gli ingredienti: prodotti come carne fresca, salmone fresco o frutta fresca erano così al momento in cui sono stati inseriti nel miscelatore che da il via al processo di produzione del mangime, insomma quando erano –effettivamente- ingredienti. Ma sia le crocchette che l’umido sono stati entrambi cotti, e le proprietà del prodotto fresco sono definitivamente perse (vedi sezione 3);
- Attenzione anche alla quantità degli ingredienti contenuti: nella lista degli ingredienti questi devono essere messi in ordine decrescente, per cui se in un mangime “al salmone” il salmone si trova dopo tre tipi di farine vegetali, significa che ce n’è ben poco... Attenzione anche ai mega disegni che ci sono sulla confezione. Sempre far riferimento alla lista degli ingredienti, anche in questi casi.
- Attenzione ai negozianti. I mangimi si acquistano in negozio, ma i negozianti non sono veterinari, né spesso hanno esperienza con gli animali. In particolare i commessi sono magazzinieri e cassieri, e chiedere loro consiglio su un mangime non è il massimo, anche perché a volte (invece di rispondere, come sarebbe corretto, “mi scusi ma non so aiutarla”) indicano il mangime che porta più guadagno al negozio avendo ricevuto indicazioni “dall’alto” per comportarsi così.
- Anche i veterinari a volte tendono a consigliare un mangime perché sono in accordo con un’azienda ben specifica che rifornisce l’ambulatorio o la clinica. Proviamo da soli altri mangimi, e nel caso portiamo le etichette, o le foto delle etichette, di un mangime che ci interessa al veterinario, per sapere se può aiutarci: spesso consigliano “il loro mangime” per pigrizia, ma un veterinario ne sa più di ogni altro di queste cose, e si può instaurare un discorso civile con un medico che cura gli animali ogni giorno. Proviamoci.
- Ricordiamo sempre che (come vedremo nella sezione 10) le aziende alimentari vendono un prodotto con lo scopo di continuare a venderlo. L’alimentazione degli animali deve essere quanto più varia possibile, per cui cambiamo spesso marche e prodotti. Le indicazioni cliniche (come “l’animale non dovrebbe mai cambiare alimentazione”) sono chiaramente volte al vendere più spesso lo stesso mangime.
- Infine, ricordate sempre che nei mangimi industriali, innegabilmente, ci va il peggio del peggio, come qualità degli alimenti. Se ne avete la possibilità, sia economica che geografica, e trovate un veterinario disposto a scrivere per il vostro cane una dieta apposita, i prodotti freschi sono ben migliori di quelli delle aziende alimentari. Sempre far attenzione a questo aspetto. E al fatto che un osso di bistecca ogni tanto, al cane, fa tutt’altro che male... checché ne dicano le aziende mangimistiche e il loro imponente marketing.
I mangimi industriali contengono sostanze cancerogene?
L’ultima parte della puntata di Report, quella che va dal minuto 47.40 al minuto 49.50, gettava in qualche modo benzina sul fuoco innestando negli ascoltatori il dubbio che nei mangimi industriali ci potessero essere delle sostanze cancerogene.
Per cui la domanda che ci poniamo in questa sezione è molto semplice: nei mangimi ci sono sostanze cancerogene?
La risposta, purtroppo è e deve essere vaga.
Non sappiamo se nei mangimi ci siano o meno sostanze cancerogene, perché è molto difficile stabilire che una sostanza sia cancerogena. Pensiamo, ad esempio, al caso dell’amianto: per anni la sostanza cancerogena si trovava proprio sopra alle nostre teste, la respiravamo, prima che qualcuno si rendesse conto che era cancerogena. E questo può succedere, anche se è brutto a dirsi, con qualsiasi sostanza presente nei mangimi per animali, ma anche nel cibo che mangiamo noi o nell’aria che tutti respiriamo.
Ma che cosa significa cancerogeno?
Il fattore cancerogeno è una sostanza in grado di favorire l’insorgere o la propagazione di tumori all’interno dell’organismo. Si tratta di sostanze di vario tipo che possono entrare nel nostro organismo, essere assorbite dalle cellule e lì, molto raramente e con un meccanismo d’azione in gran parte ancora sconosciuto, legarsi a punti specifici del DNA.
Il DNA degli animali è come un libro, da cui vengono lette le informazioni che spiegano come costruire quella certa struttura dell’organismo; il cancerogeno, per cosi dire, “brucia”qualche pagina di questo libro e la lettura diventa più difficile.
Se le proteine che “leggono” il DNA e creano le strutture leggono in modo sbagliato, può succedere che non sappiano che la replicazione cellulare, ad un certo punto, si deve fermare. E se non si ferma abbiamo una crescita cellulare nuova e incontrollata: una neoplasia. Un tumore.
Quali sostanze siano cancerogene non lo sappiamo ancora. Su alcune, come l’amianto o il fumo di sigaretta, ci sono ben pochi dubbi, mentre su altre i dubbi sono maggiori.
Chi si occupa di raccogliere tutti i dati sulle sostanze cancerogene in circolazione, dati che arrivano dai vari studi fatti da ospedali e università, è l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’OMS, che ha creato una classifica di sostanze che vanno dal “sicuramente cancerogeno” al “probabilmente cancerogeno”. Fumo e amianto, ad esempio, sono tra quelle “sicuramente cancerogene”.
Ma tra i “probabilmente cancerogeni” (gruppo A2) troviamo anche la carne rossa, inserita giusto un paio di mesi fa, che sarebbe pericolosa tanto per noi quanto per i nostri animali, che (anche se sotto forma di farina) ne trovano molta nei loro mangimi. Allora perché la carne rossa è ancora in circolazione?
Il problema è che la classificazione OMS non è una classificazione:
- Sicura, nel senso che spesso non si è capito il meccanismo di azione delle sostanze cancerogene e sono necessari ulteriori studi;
- Vincolante (assolutamente), quindi è solo un parere scientifico di altissimo livello ma pur sempre un parere, non una legge. Se i parlamenti (di solito quello Europeo, per noi) valutano come pericolosa una sostanza creano una legge ad hoc che la vieti, ma l’OMS non può farlo.
Per cui, se la classificazione OMS non è sicura né vincolante, che cos’è? È una classificazione statistica. Valuta i casi di consumo o contatto con la sostanza cancerogena e ne stima (nell’uomo) se la correlazione tra consumo e insorgenza del tumore può essere dovuta al caso o meno, con modelli matematici. Se non è dovuta al caso in base ai risultati, viene messa nella lista in attesa di saperne qualcosa in più.
Ma la statistica significa che l’insorgenza dipende sì dal contatto, ma anche dal consumo di una certa quantità di quell’alimento e continuativamente nel tempo: insomma, se una persona fuma una sigaretta al mese (continuativamente, ma a bassissime quantità) la neoplasia è altamente improbabile.
Lo stesso vale con il mangime, se le sostanze cancerogene rimangono in quantità bassissime.
Purtroppo però il fatto che i mangimi contengano o meno sostanze cancerogene dipende essenzialmente dalle leggi vigenti, più che dal fatto che i produttori le inseriscono. Se le sostanze inserite (lo abbiamo visto con le micotossine) sono vietate e i produttori le inseriscono lo stesso, se vengono scoperti hanno cnseguenze gravissime, e non gli conviene metterle.
Ma se le sostanze non sono vietate loro possono ancora inserirle, e nessuno può fare nulla, perché la legge non lo impedisce. Sta ad ogni azienda scegliere se metterle o no, in base alle sue specifiche fonti.
Certo nessun produttore vuol far ammalare gli animali (gli si ritorcerebbe contro) ma purtroppo, al momento, la presenza di sostanze dannose nei mangimi è più da ricondurre ad un problema normativo e legale che non sanitario. Brutto dirlo, ma è così.
Gli animali si abituano ai mangimi industriali? E come possiamo far cambiare abitudine?
Una delle ultime affermazioni con cui la puntata di Report lasciava, un po’ con l’amaro in bocca, i tanti ascoltatori era quella riguardante il fatto che le aziende mangimistiche fanno credere ai nostri animali di mangiare qualcosa di diverso a ciò che hanno davanti, come si dice al minuto 52.00-53.00 della puntata.
E un po’ per tutta la trattazione si continua a dire che gli animali, abituandosi al mangime industriale, poi non mangiano altro, nemmeno altri animaletti come gli uccelli o i topi che per un cane, in natura, sarebbero il nutrimento naturale.
Questa cosa è vera?
Purtroppo si, è vera. O, quantomeno, le aziende mangimistiche cercano di fare di tutto perché gli animali si abituino ad un mangime e continuino a consumare solamente quello, rifiutando gli altri. Del resto, per loro il fatto che un cliente non cambi marca di mangime significa guadagno.
Come ci riescono? Ci riescono sfruttando un po’ la fisiologia degli animali, un po’ l’ingenuità dei padroni, un po’ il fatto che gli animali di oggi se vedono un altro animale non hanno il loro istinto di cacciatori ma ne hanno magari anche paura, o li vedono come semplici giochi.
Del resto, mamma-cane non era nemmeno lei una cacciatrice e certo non li ha abituati a procacciarsi il cibo.
Iniziamo dalla parte fisiologica, che è il senso del gusto, che poi per un cane è l’olfatto.
Cioè, gusto e olfatto sono due cose distinte ma il cane “assaggia con il naso”, poi mette in bocca e butta giù, senza assaporare, al contrario di come facciamo noi (noi abbiamo molto più sviluppato il gusto dell’olfatto, il cane al contrario).
Questi due sensi, gusto e olfatto, sono innanzi tutto un meccanismo di difesa che consentono a noi come agli animali di non ingerire sostanze nocive o velenose.
I cani, per esempio, innatamente evitano l’oleandro che è una pianta velenosa; e non perché sappiano che è velenosa, ma perché l’odore gli fa proprio schifo; è una competenza tramandata per via genetica che evita che i cani possano morire a causa di questa comunissima pianta.
Ma il gusto e l’olfatto (relativamente al cibo) vanno abituati, anche negli animali: se un cane non ha mai mangiato un topo, non gli piacerà.
Se ha sempre mangiato il mangime industriale accetterà solo quello, e se ha sempre mangiato il mangime della marca X accetterà solo quello.
Se non si abitua noi padroni, a variare, lui per conto proprio non lo farà perché non riconoscerà il nuovo mangime come cosa “buona”. Invece se prendiamo qualcosa di diverso, glielo facciamo assaggiare, capisce che “eh, però non è male&rdquo
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