Pellicce di cane: come evitare di acquistarle per sbaglio

Pellicce di cane: come evitare di acquistarle per sbaglio

Ve la ricordate Crudelia Demon, la terribile cattiva che voleva a tutti i costi farsi una pelliccia con i cuccioli di dalmata, nel cartone animato Disney “La carica dei 101”? Bene, anche se a molti di voi potrà sembrare strano, in commercio esistono capi di abbigliamento che hanno parti costitute da pelliccia di cane.

Il fenomeno è talmente grave che in Italia molte associazioni animaliste come l’Enpa si sono battute per informare i cittadini e fortunatamente è stata varata una legge che vieta espressamente questo abominio.

Tuttavia i produttori senza scrupolo hanno trovato dei “trucchetti” per aggirare queste leggi. In questo articolo vedremo come fare per evitare di acquistare erroneamente indumenti fatti con pelliccia di cane.

Dalla pelliccia al pellicciotto

Ormai da qualche anno la stampa ci riempie di news riguardanti ritrovamenti di capi d’abbigliamento fatti con pelliccia di cane e gatto.

Ma prima di affrontare nel dettaglio questo sconcertante argomento è bene fare una premessa: il mercato dalle pellicce, intese come capi di abbigliamento composti integralmente dal manto di animali detti “da pelliccia” come volpi, visoni ecc. negli ultimi decenni ha avuto un brusco calo nelle vendite.

Questo perché molte associazioni, tra cui la LAV e l’OIPA, hanno condotto delle indagini sugli allevamenti, portando alla luce barbarie indescrivibili.

In allevamenti che possiamo definire “campi di concentramento” venivano ammassati animali in condizioni disumane e se ciò non bastasse finivano la loro vita subendo l’atroce tortura dello scuoiamento ( sì avete capito bene, venivano spellati vivi).

Queste allucinanti immagini fecero il giro del mondo scuotendo l’opinione pubblica e contribuendo alla battuta d’arresto della commercializzazione di pellicce già a partire dagli anni ’80.

Le industrie del settore hanno quindi dovuto escogitare un sistema per rialzarsi da questo incredibile capitombolo, quindi negli anni ’90 hanno lanciato i così detti “inserti in pelliccia”, per intenderci i classici bordini pelosi dei cappucci o dei polsini di molti giubbotti.  

Questa trovata partiva dal presupposto che i consumatori, non vedendo la pelliccia per così dire “intera”, finissero per non associare a quei piccoli inserti gli animali vittime delle atrocità di cui abbiamo parlato.

Purtroppo questo espediente ebbe successo e negli anni ’90 il “pellicciotto” spopolò su moltissimi capi di abbigliamento.

A contribuire al successo di questi inserti, fu il fatto che i capi erano stati proposti a prezzi decisamente convenienti, il che portò i più a credere che si utilizzassero pellicce sintetiche.

Made in Italy

Siccome gli allevamenti “lager” venuti alla ribalta grazie alle associazioni animaliste erano perlopiù situati in Cina, le aziende che commerciavano questi abiti nel nostro paese pensarono bene di introdurre la targhetta “made in Italy” cosà che tranquillizzò ancora di più i consumatori.

Ma ovviamente si trattò solo di un raggiro, in quanto la targhetta si riferiva all’abito per intero che era appunto fabbricato in Italia ma non alle parti di esso che (come nei caso della pelliccia) potevano tranquillamente essere importate dall’estero, senza nessun obbligo di riportare questa specifica nel cartellino.

Non solo, per proporre i capi a prezzi “stracciati” si ricorse anche ad un altro espediente, cioè l’impiego di animali “meno pregiati” come conigli, procioni, gatti e cani.

Una storia che si ripete

Nel corso degli anni, le denunce di alcune associazioni animaliste come l’Enpa che ha eseguito di numerose analisi sui capi, hanno fatto emergere lo straordinario, quanto macabro, dato che vede le pellicce di cani ancora utilizzate per la produzione di finiture d’abbigliamento.

Ovviamente le industrie del settore hanno reagito cercando un nuovo escamotage ovvero quello di inserire una specifica nell’etichetta che riporterebbe il nome della specie animale da cui è tratta la pelliccia, contando sul fatto che un certo numero di consumatori trovino deplorevole solo l’utilizzo di quella del cane o del gatto.

Fortunatamente l’Enpa non si è bevuto questo ennesimo raggiro, ed ha continuato ad analizzare in modo massiccio campioni di abiti con gli inserti in pelliccia, smascherando la manovra truffaldina e rivelando l’ennesimo dato che ha fatto rabbrividire milioni di persone: 7 capi su 10 con inserti in pelliccia sono fatti con pelle di cane o gatto.

Come evitare di acquistare pellicce di cane

Alla luce dei fatti ripercorsi in questo articolo, possiamo renderci conto che acquistare involontariamente un capo fatto con pelli di cane è una possibilità al quanto concreta.

Il miglior modo di scongiurare questa eventualità, a mio avviso, è quella di evitare di acquistare qualsiasi tipo di pelliccia, in quanto, ai giorni nostri, è impensabile tollerare che si possa uccidere qualsiasi animale per un così futile motivo.

In più oggi esistono pellicce sintetiche certificate che sembrano assolutamente reali, quindi chi non volesse rinunciare al cappuccio col pellicciotto può tranquillamente acquistarne uno sintetico.

Tuttavia Enpa, Protezione Svizzera degli Animali e Humane Society, nel corso delle loro indagini hanno stilato un elenco di false diciture ovvero nomi di animali riportati in etichetta che in realtà mascherano l’utilizzo di pelliccia di cane o gatto.

Si tratta di pelliccia di cane se sull’etichetta è riportato uno o più di questi nomi:

  • Asian wolf
  • Cane procione
  • Cane selvatico
  • Corsak
  • Corsak fox
  • Dogaskin
  • Dogue of China
  • Finnracoon (asiatico)
  • Fox of Asia
  • Gae wolf
  • Gubi
  • Kou pi
  • Lamb skin
  • Loup d’Asie
  • Lupo Asiatico
  • Lupo cinese
  • Murmanski
  • Nakhon
  • Pemmern wolf
  • Procione asiatico
  • Sakhon
  • Sobaki
  • Special skin

Invece si tratta di pelliccia di gatto se invece il capo riporta queste diciture:

  • Gatto di CiproGatto Lyra
  • Genette
  • Goyangi
  • Katzenfelle
  • Lipi
  • Mountain cat
  • Housecat
  • Wildcat
  • Special skin

Bisogna stare attenti anche a quei capi di abbigliamento che riportano la dicitura “ Vera pelliccia”, questo perché da quando è stata emanata la legge che vieta espressamente in Italia, la commercializzazione e la realizzazione di pellicce di cane o gatto, molte ditte hanno smesso di apporre i suddetti nomi, optando per la semplice indicazione “vera pelliccia”.

Tutto ciò ha spinto l’Enpa a lottare per l’emanazione di una legge che obblighi i produttori a specificare nell’etichetta a quale animale appartenga la pelliccia.

In questo modo i produttori scorretti incorreranno in un doppio reato: da una parte quello che vieta l’utilizzo di pellicce di cane e gatto, e dall’altro anche la frode commerciale, data appunto dalla dichiarazione mendace di un materiale.

Come denunciare casi sospetti

Se si sospetta la commercializzazione o la produzione di capi d’abbigliamento fatti con pelli di cane e gatto dobbiamo rivolgerci ai Carabinieri, precisamente al NOE (Comando Carabinieri Tutela per l'Ambiente) in quanto, come abbiamo già detto, chi vende o produce capi fatti con pellicce di cane o gatto commette un reato penale, e sarà quindi perseguibile per legge.

La legge a cui si fa riferimento in questi casi è la n. 189/2004, "Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 178 del 31 luglio 2004, che all’ Art. 2 recita:

  1. E' vietato utilizzare cani (Canis familiaris) e gatti (Felis catus) per la produzione o il confezionamento di pelli, pellicce, capi di abbigliamento e articoli di pelletteria costituiti od ottenuti, in tutto o in parte, dalle pelli o dalle pellicce dei medesimi, nonché commercializzare o introdurre le stesse nel territorio nazionale.
  2. La violazione delle disposizioni di cui al comma 1 è punita con l'arresto da tre mesi ad un anno o con l'ammenda da 5.000 a 100.000 euro.
  3. Alla condanna consegue in ogni caso la confisca e la distruzione del materiale di cui al comma 1.

Purtroppo nonostante ciò ogni anno si sentono sempre nuovi casi di abiti fatti con pellicce di cani e gatti ritrovati qui e lì in giro per l’Italia, quindi la sensibilizzazione in tal senso non è mai superflua.

È bene che tutti, proprietari o meno di cani, capiscano che bisogna stare attenti quando si comprano abiti con inserti in pelliccia e che non si tratta solo di leggende metropolitane o casi isolati, questo è un problema serio e diffuso che non va preso sotto gamba.

Quindi da oggi in poi quando ci ritroveremo in un negozio, prima di acquistare il nostro nuovo cappotto con il “pellicciotto” soffermiamoci qualche minuto a leggere l’etichetta e in caso di dubbio desistiamo dall’acquisto, altrimenti, anche se involontariamente, potremmo contribuire al mercato illegale di pellicce di cane e gatto facendo il gioco di quei produttori senza scrupoli che si basano proprio sulla nostra distrazione o sulla disinformazione.

Commenti 1

  • Sara Giglio : Wow. questo è un articolo molto interessante perché chi ama le pellicce (non io) dovrebbe fare molta attenzione a non scegliere quelle vere
    10/08/2015 17:53
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